Irriducibili

CIO
30 Aprile 2025
lavoro
abitare
città sostenibile
mayday
irriducibili

Sovverti anche tu il grande gioco della Milano Olimpica con gli Irriducibili. Scopri di più su l'indecorosa, l'inabitabile, l'insicura, l'insostenibile, l'intrasferibile e l'involontaria.

Lavoro

Le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 sono l’ennesima grande occasione per peggiorare le condizioni di lavoro di precari, dei minori, delle donne e complessivamente della classe lavoratrice. Il gioco è sempre lo stesso: si richiede l’autorevole parere di università locali, in evidente conflitto di interessi, che promettono, letteralmente, mari e monti, si sottoscrive il rispetto della legalità, contro le discriminazioni di genere e il lavoro precario e insicuro, si assicura la piena collaborazione delle organizzazioni sindacali ma poi, nei fatti, avviene tutto il contrario.

  • Oltre al reclutamento di lavoro gratuito per la gestione dell’evento vero e proprio, probabilmente tra l* stess+ lavorator* dello sport, consideriamo tutte le attività di turismo correlate – apertura musei, mostre, svolgimento visite guidate e spazi dedicati: su cui già la Milano città-evento sottopaga professionist* del settore per sostituirl* con volontari provenienti da aziende, fondazioni, privato sociale;
  • Si allargano le maglie della rete di controllo, si restringono i diritti fino ad annullarli. Il risultato è che la ‘ndrangheta fa affari anche nel villaggio olimpico mentre vengono cancellate migliaia di aziende, di cui l’80% agricole, dove passeranno le inutili strade.
  • Nel frattempo le denunce di infortunio crescono a vista d’occhio. Se l’ex Scalo di Porta Romana e PalaItalia sono due vetrine del lavoro in sicurezza, cosa avviene nel cluster della Valtellina o nei cantieri di Cortina, dove per arrivare pronti all’appuntamento i ritmi di lavoro arrivano a essere h24?

Nella Milano capitale del lavoro povero le Olimpiadi offrono non solo volontariato non retribuito o un lavoro nell’indotto turistico, quando va bene precario (e non in nero), ma anche un appoggio ideologico all’insostenibile modello di città esclusiva ed escludente.

Fermiamo il lavoro gratuito e il lavoro povero a beneficio di privati e grandi eventi!

Abitare

Come può una città con un tasso di disoccupazione al 4,3% (rispetto al 6,2% nazionale) vivere in una permanente condizione di emergenza sociale? Certo, l’assenza di welfare pubblico e la speculazione immobiliare contribuiscono a creare quel contesto di insostenibilità gestito dal mercato tramite periodici processi di espulsione e di contestuale attrazione di nuova manodopera. Oltre a cio’, però, va considerato lo specifico milanese nella distribuzione del reddito, sintetizzato nella successiva tabella:

Quasi un quarto dei contribuenti milanesi ha un reddito lordo inferiore a 10 mila euro, 3 punti in meno della media italiana. Più bassa è anche la quota dei redditi medi compresi tra i 10 mila e i 26 mila euro (31%), inferiore di 10 punti percentuali. Ben più alta è invece la quota con redditi più elevati. Il 5% dei contribuenti ha un reddito lordo superiore a 120 mila euro e detiene il 32,8% dell’ammontare complessivo del reddito comunale. A peggiorare il quadro è sicuramente l’inserimento della variabile “costo della vita”, in particolare collegato alle spese relative all’abitazione. Una variabile che rende molto difficile l’inserimento in città per i redditi inferiori ai 2.500 euro mensili, per i motivi riassunti dall’irridicibile Inabitabile.

Per quanto quindi risultino indispensabili al sistema, possiamo a grandi linee avanzare la tesi per cui almeno il 50% dei lavoratori residenti in città può incontrare importanti difficoltà nell’arrivare a fine mese, sicuramente nel caso in cui non abbia ereditato un immobile di proprietà. Nonostante ciò, viviamo nella città in cui luoghi qualificanti come i teatri e le fiere vedono impegnati lavoratori con salari di poco superiori ai 5 euro.

Nella Milano capitale del lavoro povero le Olimpiadi offrono non solo volontariato non retribuito o un lavoro nell’indotto turistico, quando va bene precario (e non in nero) e appoggio ideologico all’insostenibile modello di città esclusiva ed escludente. Un modello che attinge a piene mani ai principi della touristification, di cui è emblematico lo sviluppo decennale, in particolare sui redditi alti, riassunto in questa tabella relativa al 2013:

L’insostenibile leggerezza del mattone. L’affitto assorbe in media il 50% del salario mensile. Il 70% degli under 35 che vive in una casa di proprietà ha ricevuto supporto economico dai genitori. E il 30% senza supporto? Tra il 2015 ed il 2021, prima della crisi energetica e dell’impennata inflattiva, questa era la situazione:

  • Prezzi medi di vendita: +41%
  • Canoni di locazione: +22%
  • Redditi e retribuzioni medie: +13%
  • Retribuzione media operai: +3%
  • Retribuzione media impiegati: +7%

Nel 2022 ADE stima in città 820 abitazioni ii proprietà di persone fisiche, il 10% in più che nel 2006. Circa il 70% dei residenti vive in una casa di proprietà. Si stima che più di 18 mila abitazioni siano destinate agli affitti brevi. Rispetto all’edilizia popolare, si parla di 25 mila abitazioni in meno, fra proprietà regionali e comunali, dall’entrata in vigore della legge 560/93.

Salario medio milanesi: 2.538 euro al mese Costo affitto medio a Milano: 23,60/mq al mese. Sostenibilità di un affitto: salario/3 = 2538/3 =816 euro circa 100 mq: 2360 euro al mese 50 mq: 1180 euro al mese

35 mq: 826 euro al mese E’ quindi sbagliato parlare di crisi di un modello, considerato che da anni il respingimento dei ceti più bassi ad opera del mercato è realtà. Al contempo, poco meno del 10% della città, 115 mila persone, è milionario. Se sui valori medi si rileva un’emergenza, è agli estremi che la disuguaglianza sta divenendo radicale. A Milano, il 10% della popolazione più ricca detiene circa il 40% dei redditi complessivi, mentre il 10% più povero ne detiene appena lo 0,6%. Questo indica una forte disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, con una marcata concentrazione ai vertici. A determinare questa emergenza sociale non è di certo la capacità produttiva degli individui ma la capacità di valorizzare i propri patrimoni, per chi li possiede, di modo da creare un solco col resto della città. C’è un problema di disuguaglianza sui redditi da lavoro ma al contempo la fossa la stanno scavando i redditi da capitale. La città vetrina, la città evento, l’over tourism, chiamatela come vi pare, impoverisce chi produce ed arricchisce chi specula e vive di rendita.

Città sostenibile

Transfemministe, froce, cassandre. Ancora contro il pinkwashing dei grandi eventi. Lo sport per molte persone è un gioco, per altre un lavoro. Per altre ancora, in particolare donne, dovrebbe essere un lavoro ma è uno sfruttamento dei corpi con pochi diritti. In Italia fino a poco tempo fa il lavoro sportivo era regolato dalla legge 91/1981 che dava alle federazioni la facoltà di riconoscere o meno alcuni sport come professionistici, quindi con contratti standardizzati, o dilettantistici, con scritture private. Nonostante l'ultima riforma rimangono diffuse le scritture private, fomentatrici di precarietà (atletx sottopagatx, senza tutele sanitarie o assicurative). La maternità, definita un “grave inadempimento contrattuale”, diventa una condizione che porta alla rescissione degli accordi. Questo il quadro in cui, a un anno dall'inizio delle Olimpiadi, è stata inaugurata a Milano la mostra fotografica “Una vita per lo sport. Volti e conquiste delle #100esperte”, un'iniziativa che racconta donne eccezionali che, nonostante tutti gli ostacoli, sono diventate protagoniste nel mondo dello sport. La mostra è legata a un progetto che promuove la visibilità nei media delle competenze delle donne, la Fondazione Bracco a tal proposito ha anche pubblicato un report che mostra quanto la rappresentazione delle donne alle Olimpiadi di Parigi sia stata equa e raccontata con immagini e linguaggi non discriminatori. Non dimentichiamo però la storia della pugile Khelif e il linguaggio transfobico e nazionalistico bianco con cui è stata raccontata. Le Olimpiadi esasperano un processo in corso da tempo e si innestano in un terreno fertile di pinkwashing, cominciato almeno con Expo 2015, prima con la creazione di una gay street e poi con la retorica della donna che nutre il pianeta. E' con questo sguardo che proviamo a leggere un rapporto del Censis del 2023 (promosso da Lottomatica) che ci racconta che in Italia le donne che fanno sport costituiscono il 43,3% del totale di chi pratica sport. “I dati testimoniano che le sportive lavorano di più e meglio di quelle che fanno una vita sedentaria, stanno meglio con sé stesse e con gli altri e adottano stili di vita più moderni e sostenibili [...] Nelle aree del Centro-Nord dove le donne che fanno sport sono di più, si crea un circolo virtuoso per cui lo sport praticato diventa esso stesso un veicolo di emancipazione”. Lo sport viene concepito come mezzo per incentivare la produttività, come simbolo di modernità (in una contrapposizione Nord/Sud imbarazzante) e di emancipazione della donna, che, lontana dall'essere parità di diritti, propugna un’idea di donna che può (se si impegna) essere tutto: moglie carina, lavoratrice di successo, atleta da record, madre. Una donna eccezionale, celebrata poi con le foto in Corso Vittorio Emanuele II. Una donna cis naturalmente, ché nelle categorie sportive non c’è spazio per altre persone. Torna anche la retorica green: “Il 45% delle donne che fa attività motoria la pratica all’aria aperta entrando a contatto con gli elementi del nostro ecosistema come il mare, le montagne, i prati, ed esponendosi ai diversi fenomeni atmosferici. Le sportive sono “naturalmente” più vicine alla natura e mettono in atto una serie di comportamenti a minor impatto ambientale, che indicano un’attenzione maggiore alla sostenibilità del pianeta”. Visto che le transfemministe, froce, cassandre nel 2015 ci avevano già avvertite del pericolo di una retorica di empowerment e progresso usata per distrarci mentre si lavora all'erosione dei diritti, e che nei 10 anni trascorsi, nonostante le lotte che hanno messo sempre più a critica queste retoriche la situazione non è migliorata, il 1 maggio saremo di nuovo in piazza, non per dire “ve l'avevamo detto” ma per dire basta allo sfruttamento di corpi e territori.